Una parte del docufilm Porto il velo, adoro i Queen è stata girata a New York
Il primo dei motivi è abbastanza evidente: la Grande Mela, abitata da milioni di immigrati, è la metropoli cosmopolita per antonomasia. Ellis Island, isolotto artificiale alla foce del fiume Hudson creato coi sedimenti e i detriti prodotti dalla costruzione della metropolitana, nel corso di un secolo ha visto transitare ben dodici milioni di esseri umani europei e italiani alla ricerca di un futuro.
C’è un secondo motivo per cui Luisa ha pensato che potesse essere una buona idea iniziare le riprese negli Stati Uniti. L’impresa consisteva nel riuscire a convincere Sumaya Abdel Qader e Batul Hanife a diventare le protagoniste del suo nuovo docufilm. “Se le invito a fare un giretto negli USA, può essere che accettino la parte“.>
Lo stratagemma ha funzionato: una trasferta all’estero con conseguente condivisione dell’alloggio (un appartamento ad Harlem vicino a Central Park) può essere un ottimo modo per approfondire la conoscenza delle persone con cui si vuole lavorare.

Il terzo motivo che ha spinto Luisa a muoversi a New York è stato il desiderio di intervistare Merve Safa Kavakçı.
Nel 2004 è stata riconosciuta tra le Women of Excellence dalla George Washington University (dove insegna Storia delle istituzioni e delle relazioni politiche internazionali) e dalla NAACP (acronimo di National Association for the Advancement of Colored People). Merve è considerata una dei cinquecento musulmani più influenti al mondo, è consulente al Congresso degli Stati Uniti per il mondo musulmano, ed ha una storia importante alle spalle.
In Turchia è stata esponente del Partito della Virtù (in turco Fazilet Partisi).
Il 2 maggio 1999, i membri del Partito della Sinistra Democratica le impedirono di prestare giuramento durante la cerimonia giurata per aver infranto il disposto legale kemalista che vieta di ostentare simboli religiosi nei luoghi pubblici. Merve Kavakçı non volle piegarsi alla legge e insistette a indossare il suo hijab anche in Parlamento

Nel 2007 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che l’espulsione di Merve Kavakçı è avvenuta in violazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Da allora, ha viaggiato per il mondo in rappresentanza e sostegno delle donne musulmane a difesa del loro diritto di indossare l’hijab.
Porto il velo, adoro i Queen non è, e non vuole essere, un film che fa proselitismo religioso. La pellicola intende innanzitutto veicolare un messaggio forte contro la misoginia e la xenofobia, di cui il corollario islamofobo è una delle conseguenze.
Nel 1999 Merve Kavakçı è stata premiata con il Service to Humanity Award da Haus Der Kulturellen Aktivität und Toleranz a Vienna. Nel 1999 ha ricevuto il premio di Madre dell’anno dalla Capital Platform of Ankara e dalla National Youth Organization.
“Nessuno può dire a una donna come deve vestirsi, o come deve svestirsi”; ecco il messaggio (secondo me incontestabile) che Merve Safa Kavakçı ha lasciato nel corso dell’intervista.
Mentre Sumaya e Batul partecipavano alla preghiera del venerdì , Luisa ha intervistato Chernor S. Jalloh, Immam del Centro Culturale Islamico di New York.
Chernor ha ribadito ancora una volta che l’Islam è una religione di pace – ma lo sapevamo già; il problema sono gli esseri umani, non la loro fede. Un malvagio è malvagio a prescindere dalla fede a cui appartiene, e non esiste religione che possa assolverlo o giustificarlo.
Spostarsi a New York per girare un film che parla (anche) di Islam senza visitare il National September 11 Memorial & Museum sarebbe stata una lacuna imperdonabile; le due vasche di granito su cui sono incisi i nomi delle vittime comunicano un sentimento di gelida, straniante bellezza.

A Little Italy si respira un’aria diversa – anche se di Italy, al quartiere, è rimasto solo il nome. Di italiani autentici ne sono rimasti ben pochi.
Sumaya e Batul si sono mosse in giro per le strade di Little Italy a caccia del connazionale perduto.
Alla fine, qualche italiano vero lo hanno trovato.
